Il giuramento per l'Italia. Da Manzoni a Mazzini

"Il giuramento per l’Italia. Da Manzoni a Mazzini" è il titolo della mostra che l’Unità Tecnica di Missione per i 150 dell’Unità d’Italia e l’Istituto Mazziniano - Museo del Risorgimento propongono a Genova dal 23 giugno al 3 settembre 2011. 

A ospitarla è la Casa Natale di Giuseppe Mazzini, sede del Museo del Risorgimento - Istituto Mazziniano e a idearla e curarla sono Giuseppe Monsagrati, Paolo Peluffo, Raffaella Ponte, Anna Villari, in collaborazione con Pietro Finelli e la Domus mazziniana di Pisa.
Arte, letteratura e musica, da sempre, hanno celebrato l’atto del giuramento. Nella varia dotazione simbolica di cui è ricca la cultura dell’Italia risorgimentale, il giuramento rappresenta un momento di grande solennità e sancisce in genere la promessa, stretta tra uguali, di restare uniti fino al conseguimento della libertà per tutti. Come patto di fedeltà ha una vasta gamma di precedenti, da quelli mitici (giuramento del Grütli, che nel 1291 lega in alleanza i tre cantoni che danno origine alla Confederazione elvetica) a quelli storici (giuramento di Pontida, 1167, con cui i Comuni lombardi si alleano contro l’imperatore). Poiché è la conclusione di un atto spontaneo e ha come obiettivo la conquista o la conservazione della libertà, il giuramento dei congiurati è ben diverso dal giuramento che si presta alla monarchia, il quale lega i sudditi a un sovrano assoluto (e come tale negatore della libertà) sulla base della semplice appartenenza al suo regno; il giuramento evocato nel Risorgimento, da Manzoni come da Berchet, affonda le sue radici nel Medio Evo e fa appello alla "antica virtù" che è quella dei liberi Comuni.Il giuramento che in Mazzini sancisce il vincolo dell’affiliato con la Giovine Italia, è invece una promessa che ha i suoi antecedenti ideali nella Roma repubblicana (J.L. David, Giuramento degli Orazi) o nella Francia della grande Rivoluzione (1789, Giuramento della Pallacorda col quale i deputati dell’Assemblea si impegnano a restare uniti fino all’ottenimento di una nuova Costituzione). In Mazzini, in particolare, rappresenta il momento conclusivo della procedura di iniziazione al patriottismo e stabilisce tra quanti lo prestano un rapporto di fratellanza destinato a durare anche a costo della vita e finché non si sia creata la nazione: affiliarsi è una libera scelta, giurare comporta un vincolo inestinguibile di fedeltà. Di per sé il giuramento non crea la nazione ma, in quanto espressione di libertà collettiva, è il presupposto immancabile per la sua fondazione; è, in un certo senso, il momento di massima tensione morale verso l’assunzione di un obbligo che fa da collante per ciò che si vuole edificare. La mostra allestita all’Istituto Mazziniano sottolinea l’importanza di questo atto nella sua evidente natura di accordo fra individui liberi aventi come obiettivo quello di fondare la nazione su basi di una concordia civica non forzata. Così avvenne a Pontida, come è illustrato dall’opera rievocativa dipinta da Giuseppe Diotti nel 1837, concessa alla mostra genovese dalla Pinacoteca di Brera e dall’analogo di Giuseppe Mazza, proveniente dal milanese Museo della Scienza e della Tecnica, e restaurato grazie al finanziamento dell’Unità Tecnica di Missione in occasione della mostra. Accanto a essi, disegni, incisioni, bozzetti, documenti. Ma la mostra si sofferma anche sui testi e sugli autori dei componimenti poetici o romanzeschi in cui la cerimonia del giuramento viene rappresentata, così come sul melodramma: nel 1837 viene messa in scena alla Scala un’opera di Saverio Mercadante, Il Giuramento, ispirata a un dramma di Victor Hugo, Angelo, tiranno di Padova, su cui si era soffermato qualche tempo prima il giovane Mazzini. Risalto, in mostra, hanno anche i testi del pensiero politico italiano in cui il giuramento viene presentato nei suoi caratteri antitirannici. Scriveva ad esempio Cattaneo, nel 1852, in un indirizzo agli svizzeri: "I nostri padri non ebbero il senno dei vostri. Il loro giuramento in Pontida era obliato dal mondo, quando voi pronunciaste l’eterno patto del Grütli, quando voi scopriste su quella rupe la più bella gemma che Dio abbia donato alla terra: la gemma della semplice fraterna libertà".E Mazzini, nel 1831: "La nazione è l’universalità degli Italiani, affratellati in un patto e viventi sotto una legge comune".
Il pezzo più significativo, intorno al quale ruota tutta l’esposizione è rappresentato dalla lettera inviata da Giuseppe Mazzini a Giuseppe Giglioli il 21 luglio 1831, contenente il testo del giuramento degli iscritti alla "Giovine Italia", proveniente dalla Domus Mazziniana di Pisa che lo ha concesso in prestito per l’occasione. Per Genova si tratta di una prima assoluta per questo storico documento, autentico atto di nascita dell’Italia Risorgimentale democratica, solitamente conservato presso la Domus Mazziniana di Pisa, e presentato al pubblico per la prima volta in occasione dei 150 anni dell’Unità: a Roma in Campidoglio il 17 Marzo e ora a Genova. Perché è importante questa lettera? Perché in essa è riportato per mano di Mazzini il testo del giuramento degli iscritti alla Giovine Italia nella sua prima versione. Mazzini infatti diede a breve distanza di tempo due versioni, simili ma non identiche. La prima, ripresa quasi integralmente nella lettera a Giuseppe Giglioli che qui si espone, fu redatta nel luglio del 1831, a Marsiglia, all’atto - dirà molti anni dopo lo stesso Mazzini - di riprendere "l’antico disegno della Giovine Italia". In realtà, quella in cui si trovava allora il giovane ligure era una fase di transizione, il momento tutt’altro che rapido del passaggio dalla carboneria a una impostazione diversa e per molti versi antitetica del problema dell’Italia. I primi contatti da lui allacciati in Francia, a Lione prima ancora che a Marsiglia, erano stati con esponenti della carboneria: Carlo Bianco di Saint Jorioz, Borso de’ CarminatiG.P. Voarino; e in allora Mazzini non aveva ancora superato il periodo della militanza carbonara né aveva rimosse le tracce che quella particolare cultura cospirativa aveva lasciato in lui. Oltre tutto, proprio il progetto di lanciare una organizzazione capace di percorrere una strada diversa da quella battuta sino allora dalle società segrete costringeva Mazzini a tentare una mediazione, o quanto meno a cercare di far proseliti conservando qualcosa della precedente simbologia. Quando dunque stese la prima Istruzione generale della Giovine Italia utilizzò espressioni, figure retoriche, formule, riferimenti ideologici che risentivano molto della precedente militanza e di qualche richiamo al giacobinismo; e nel Giuramento degli affiliati inserì elementi lessicali tipici del linguaggio carbonaro, quali l’impegno a "spegnere" i tiranni e a "distruggere" i traditori o il richiamo ai tanti giovani "spenti, o cattivi" (uccisi o incarcerati). Nella seconda Istruzione, di pochi mesi successiva, restava l’impianto generale del giuramento ma cambiavano i toni: compariva il termine missione, si auspicava che l’Italia, oltre che una, indipendente e libera, fosse anche repubblicana, si chiamava in causa il popolo e spariva ogni intimazione minacciosa verso gli eventuali traditori. Inoltre, a differenza che nella prima Istruzione, dove era additato agli affiliati il dovere di appartenere ad altre società segrete, si prescriveva, nel giuramento stesso, "di non appartenere, da questo giorno in poi, ad altre associazioni". Come mai questo ribaltamento? Quello della seconda Istruzione era un Mazzini meno disposto a compromessi con la Carboneria soprattutto dopo che nell’estate, tra la prima e la seconda Istruzione, durante una rissa con alcuni francesi un esule italiano a Mâcon aveva accoltellato a morte un francese: fu probabilmente questo episodio che indusse Mazzini a caratterizzare meglio la Giovine Italia selezionandone i futuri adepti non più sulla base di generici riferimenti di stampo neo-giacobino ma mediante l’adozione di un codice morale che accogliesse i principi etico-religiosi frutto della sua evoluzione interiore. Il testo del secondo giuramento restò a lungo nella memoria dei patrioti italiani, di quelli che rimasero per tutta la vita mazziniani ma anche di coloro che - dirà poi un Mazzini sdegnato - "sono oggi cortigiani, faccendieri di consorterie moderate, servi tremanti della politica di Bonaparte e calunniatori e persecutori dei loro antichi fratelli". La verità è che non si poteva concepire un manifesto migliore dell’italianità e dei valori su cui essa si sarebbe dovuta fondare: che erano, sì, i valori di un repubblicano ma col loro contenuto educativo sarebbero serviti anche a formare il carattere di chi repubblicano non era o non era più.